Moschiano è compreso tra i sette comuni che compongono il Vallo di Lauro e, nel passato, il feudo di Lauro, territorio situato sulla parte estrema occidentale dell’Irpinia confinante con l’Ager nolanus.
Non essendoci pervenuti documenti ne tradizioni orali, Moschiano, come molti altri paesi, rimane privo di notizie sulle sue origini. Comunque rinvenimenti archeologici proverebbero l’esistenza di insediamenti umani nell’ambito territoriale esteso intorno al paese, che potrebbero contare diversi millenni, da collegarsi perfino con la preistoria, VIII – VII secolo a.C.
A seguito di scavo, infatti, eseguito in località Carità, poco più a monte del Santuario, sono stati rinvenuti << …..frammenti fittili …… che vanno dall’impasto “preistorico”… >>1 Del periodo sannitico, IV – II secolo a.C., fu scoperta in località Carrata, poco lontano dal rione Croce, a ridosso della strada della Carità, una sepoltura composta di lastre tufacee in cui tra avanzi di ossa umane fu rinvenuta una patera bronzea con pugnale.
Trattavasi di una “tomba di età sannitica” come definita dalla Soprintendenza archeologica con fonogramma del 17.01.1958 trasmesso al Comune di Moschiano, firmato dal Soprintendente prof. Amedeo Maiuri. Durante i lavori di scavo per la ristrutturazione della rete idrica di Moschiano, la scoperta ancora di una tomba nel rione Croce, a pochi metri dall’inizio del paese. Composta di blocchetti di tufo grigio, alla profondità di m. 1,90 dal piano stradale.
Dal materiale ceramico in essa contenuto si desume essere “di età imperiale, II–III secolo d.C.” Fin qui rinvenimenti, per quanto sporadici, confermerebbero la presenza umana in sito da più millenni. Ma una più recente scoperta confermerebbe l’esistenza almeno di un villaggio sulla collina della Carità ove si ha ragione di credere che abbia avuto origine il paese di Moschiano ed ove, nel 1987, a seguito di avvertite tracce di presenza archeologica, fu eseguito, a cura della competente Soprintendenza di Salerno, un saggio di scavo che portò alla luce avanzi di necropoli, definita d’epoca tardo romana, datata IV-V secolo d.C. Furono esplorate sette tombe a cassa, composte di tre tegole di fondo con muretti laterali ed altre tre tegole spianate che chiudevano la tomba. Che cosa proverebbero quelle tombe lassù se non la esistenza di un abitato, sia pur modesto, di pastori e contadini? I cui abitanti poi,in epoca successiva, si sarebbero stabiliti a valle, ove oggi sorge Moschiano la cui etimologia deriverebbe dalla lingua greca, come afferma anche lo Scandone, e cioè da moscos che vuol dire vitello. Probabile zona, dunque, di allevamento di bovini. I nostri monti, ricchi di sorgenti d’acqua, di pascoli, di boschi e in ottima posizione, si sarebbero ben adattati al detto allevamento. Ciò è quanto risulta dalle ricerche archeologiche accuratamente condotte e documentate; e non è poca cosa. Sulle origini del Comune di Moschiano, cioè della sua istituzione, si è privi di notizie. Possiamo dire soltanto che nel meridione d’Italia le prime forme di governo autonomo cittadino risalgono al XII secolo, quando l’istituzione feudale cominciò a sgretolarsi e i baroni a perdere d’autorità. Comunque il Comune, detto allora Università, non assume quel significato che oggi ad esso diamo, in quanto le piccole comunità rimasero ancora, almeno in parte, asservite fino al primo decennio dell’800 ai feudatari contro i quali reagivano per gli abusi da essi commessi. Per più secoli Moschiano fu casale dello Stato di Lauro, come tutti i comuni del Vallo, alle dipendenze delle Signorie che governavano il feudo di Lauro. Il toponimo del paese ricorreva già nei documenti amministrativi fin dal XIII secolo nelle forme alternative di Musclano, Moscano, Muschiano, detto anche “Muscano civitatis Lauri”. Soltanto nel 1600 compare, per la prima volta, la denominazione di Moschiano. I cognomi più comuni delle famiglie ricorrevano già dall’antico: Bonaiuto, de Alia, poi Dalia, de Pace, poi Pacia, de Muscano, poi Moschiano, Mazzocca, Volino, Santaniello, a Deo, poi Addeo, Manfredi, ecc. Altri cognomi, da tempo estinti, furono de Ripa, de Bona, de Annunziata, Mazza, Caputo, Sirignano. Il territorio del Vallo, che costituiva lo Stato di Lauro, contava, nei secoli passati, diciassette Comuni o Università tra i quali erano incluse anche le comunità dette oggi frazioni come Ima, Bosagro, Fontenovella, ecc. ed ognuna con propria amministrazione.
Moschiano era denominato comune capoterzo, come anche Quindici e Taurano, in quanto le montagne demaniali dello Stato di Lauro essendo state divise in tre parti venivano amministrate ciascuna dai detti tre comuni, per cui ognuno di essi era il capo di una terza parte delle suddette montagne. Inoltre tutti i citati comuni formavano insieme un solo organismo detto Parlamento dell’Università di Lauro in generale composto dal primo eletto di ogni comune, ad eccezione di Moschiano e Quindici che vi partecipavano con due eletti. Il Parlamento, che veniva annualmente rinnovato mediante elezioni, si adunava nel pubblico Sedile di Lauro per discutere problemi di natura comune all’Università in generale. L’istituzione, durata per secoli, cessava di vivere nel 1806 a seguito delle riforme Napoleoniche in materia politico – amministrativa. Con la restaurazione del Regno Borbonico di Ferdinando IV, dopo il decennio di governo francese, anche gli animi delle nostre popolazioni si aprirono agli ideali risorgimentali di indipendenza e libertà. In Nola il Sac. Don Luigi Minichini capeggiava la Carboneria, società segreta i cui seguaci ne diffondevano le idee che conquistarono anche i paesi del Vallo di cui diversi cittadini subirono denunce per trame rivoluzionarie. Rocco e Gaetano Sirignano, fratelli, di Moschiano furono accusati di aver preso contatto con il generale De Concili il quale avrebbe deciso di scendere con le sue truppe per la strada del Conciaturo, attraversare il Vallo e fermare in Nola le truppe austriache venute in aiuto del Re in seguito agli avvenimenti dei Motidi Nola.
Dei fratelli Sirignano più rischi correva Don Gaetano Sacerdote e peraltro Cappellano di reggimento dell’esercito Borbonico, nonché “Gran Maestro Carbonaro” come risulta dal voluminoso carteggio in Archivio Storico Diocesano di Nola. Veniva controllato dalla polizia borbonica e in quanto sacerdote doveva dar conto della propria condotta alla Curia Nolana. Accusato di riunioni dubbie e sospettato di intrighi di attività settaria, nonché di attività amatoria con Donna Angelica, una vedova del paese, non interruppe mai la sua attività politica mirata agli ideali del risorgimento italiano. Con l’Unità d’Italia, Moschiano e i comuni del Vallo, con Decreto Regio del 17 febbraio 1861 passarono dalla provincia di Caserta, a cui erano da tempo aggregati, a quella di Avellino. Infatti, dovendo costituirsi la nuova provincia di Benevento, fu necessario, per adattamento territoriale, che i circondari di Baiano e Lauro venissero aggregati alla provincia di Avellino. Ma i cittadini del Vallo, per vari motivi, non gradirono tale decisione, anzi protestarono; furono indette riunioni straordinarie presso i Comuni ove, nonostante venissero addotte valide ragioni, i paesi del Vallo furono, comunque, staccati definitivamente dalla provincia di Caserta. A seguito dell’Unità d’Italia esplosero gli anni del brigantaggio che tennero in agitazione le nostre popolazioni per circa un decennio. Si mirava a colpire in vario modo l’Istituzione Unitaria con rivolte contadine, con insorgenze, con scontri a fuoco tra soldati dell’esercito regolare e i cosiddetti briganti i quali saccheggiavano paesi e villaggi compiendo violenze di ogni genere. In simile drammatica situazione, invaso dalla banda di Cipriano della Gala, venne a trovarsi Moschiano il 17 Luglio 1861, dove, in uno scontro a fuoco caddero tre militi della Guardia Nazionale di Moschiano: Michele Buoaniuto, Francescantonio Manfredi e Michele Sirignano, due briganti di cui si ignorano i nomi e un anziano cittadino, il novantenne Gaetano Fiore. Mentre i briganti si davano al saccheggio delle abitazioni arriva da Lauro, dov’era di stanza, una squadra di soldati al comando del Capitano genovese Achille Belgieri, il quale nel mentre intimava la resa ai briganti raggruppati in difesa sul sagrato della chiesa del Rosario di Capomoschiano, veniva colpito a morte dalle fucilate dei briganti. Inseguiti questi dai soldati ne furono feriti molti mentre si davano alla fuga verso i monti; all’indomani per quei sentieri montani se ne rinvennero i cadaveri. Al drammatico episodio seguì la fase delle indagini giudiziarie per accertare l’eventuale presenza in paese di favoreggiatori dei briganti. Si ebbero infatti tre arresti nelle persone di Don Giuseppe Dalia, parroco della parrocchia di San Bartolomeo in Moschiano, del fratello Antonio, di Angelo Frezzaroli. Il parroco accusato di complicità con i briganti, gli altri due di favoreggiamento. Associati nelle carceri di Avellino subirono lunghi interrogatori.
Don Giuseppe respinge tutte le accuse di complicità con la banda brigantesca ed afferma di essere stato uno dei pochi parroci a benedire la bandiera nazionale e di avere giurato nella cancelleria comunale fedeltà al nuovo governo. Espongono le proprie ragioni gli altri due imputati. I testi, otto “persone probe intese de’ fatti pubblici del paese” scagionano gli imputati dalle medesime accuse di corrispondenza con i briganti. Compiuti così i dovuti accertamenti da parte della giustizia sui tre imputati, ne fu ordinata la scarcerazione il 14 settembre 1861.4 Passarono gli anni, si giunge alle due guerre mondiali: 1915-1918 e 1940-1945 e Moschiano offre il suo contributo di sangue alla Patria. Nella prima guerra caddero 15 giovani cittadini. Cadono nella pineta di Sagrado, sul San Michele a Congeniche, a Villese di Gorizia, a Castagnavizza, sul monte Debeli. I giorni amari di Caporetto precipitano, il nemico avanza. Nostro estremo tentativo è la resistenza sul Piave. E qui cadono i giovanissimi del 1900, a Ponte di Taglio, a Zenzon di Piave. Di alcuni non ci pervennero notizie: la violenza della battaglia non salvò nemmeno i loro piastrini per sapere chi fossero. E cadono, chi sepolto nel cimitero austriaco di Sigmundsluberg, chi si spegne nell’ospedaletto da campo di Brunek nel Tirolo. Questi gli eroi della prima guerra mondiale. Ma non passano che poco più di venti anni ed è di nuovo la guerra. “Ritorna l’incubo angosciante della guerra che forse la maggior parte del popolo italiano non voleva, nonostante la propaganda del regime mettesse sulle labbra di schiere di giovani dimostranti l’incosciente grido: Vogliamo la Guerra, scandito al ritmo di passo romano echeggiante anche per le vie del nostro paese”. E’ una guerra più violenta e disastrosa della prima che getta l’Italia nel lutto e nella rovina.
Si combatte questa volta su fronti diversi e lontani: dalla Russia al Nord Africa, dai Balcani alle battaglie nel Mediterraneo. Anche da Moschiano si parte per questi fronti lontani e non tornano dal fronte Croato né dalla battaglia sul Don, né dal fronte tedesco; e chi inabissa in maree chi versa il sangue in El Alamein, chi in Cefalonia cadde sotto il piombo della “tedesca rabbia” e chi si spegne nelle barbare e disumane prigioni.
I nomi di questi concittadini sono ricordati sulle lapidi murate sulla facciata della Chiesa del Corpo di Cristo nella Piazza di Moschiano. Del periodo fascista si ha triste ricordo. Con R.D. del 9 febbraio 1928, n. 227, l’ex Comune di Moschiano, già di antiche origini, veniva con atto di imperio aggregato al comune di Quindici. Si motivò il gesto alludendo alla tendenza del regime mirata all’accentramento dei poteri amministrativi. Ma pare anche che il paese fosse nel mirino del regime per condotta antifascista pubblicamente nota di alcuni cittadini. Nelle condizioni di frazione di Quindici, Moschiano rimase per ventotto anni, ben adattandosi, seppure con tanta amarezza nell’anima, alla nuova situazione. Il viottolo campestre Moschiano – S. Antonio divenne in quegli anni la via più percorsa dai nostri cittadini che per motivi vari recavansi al Comune di Quindici, occasione che consolidò anche l’amicizia tra Moschianesi e Quindicesi. Ma negli anni 50 del trascorso secolo ci venne incontro la legge 15 febbraio 1953, n. 71 G.U. 7.3.1953, n. 56. Legge 15 febbraio 1953, n. 56 “Ricostituzione dei Comuni soppressi in regime fascista”
La camera dei deputati ed il senato della repubblica hanno approvato; Il presidente della Repubblica promulga la seguente legge:
Articolo unico
Potrà essere disposto, ai sensi dell’articolo 33 e seguenti del Testo unico 3.03.1934, n. 383, la ricostituzione dei comuni soppressi dopo il 28 ottobre 1922 ancorché la loro popolazione sia inferiore ai tremila abitanti, quando la ricostituzione sia chiesta da almeno 3/5 degli elettori. In virtù della suddetta legge, inoltrata domanda di ricostituzione in Ente autonomo dell’ex Comune di Moschiano, con richiesta relazione illustrativa e con profilo storico, nell’anno 1957 Moschiano viene ricostituito un Comune autonomo, giusto D.P.R. 1/10/1957, n. 1071, pubblicato sulla G.U. 23.11.1957, n. 289.
Pasquale Moschiano
Pagina aggiornata il 23/04/2024